Era tantissimo che non ci andavo, finalmente ho preso la decisione e ciò che programmavo da mesi senza trovare modo di farlo è riuscito in poche ore.
Sono tornato al Nincasi di Cisternino, il mitico primo pub indipendente tra le provincie di Bari e Brindisi, che continua ad avere belle birre, seppur da scovare tra il marasma dell'assortimento.
Tante birre messe in frigo da Leo, quindi, ma spesso basate su must del Belgio più tradizionale ed un filo più commerciale, oltre a qualche bella sorpresa.
Andando con ordine, la mia prima bevuta è stata una novità. Non l'avevo neppure mai letta da nessuna parte.
Ho preso la Good Juju degli americani di Left Hand. Si tratta di una pale ale con aggiunta di zenzero, per cui sarebbe una ginger ale. Anche se non nel senso più classico e britannico del termine. Il mio metro di paragone è la Ginger Old Tom di Robinson, che una volta versata ne ho bevuta metà solo perchè ormai ce l'avevo davanti, ma neanche quella metà sono riuscito ad apprezzare.
Fortunatamente è cosa ben diversa. Naso delicato, zenzero e fieno, fresco, ruspante, pepato.
In bocca leggera, con un corpo esile ed una struttura semplice. Amaricatura bassa, croccante e rinfrescante, lievemente amarognolo il finale a fine bicchiere. Una ginger ale finalmente delicata che scorre davvero senza problemi, ottima per iniziare con i suoi 4,5%alc.
A seguire una Obscura della beer firm belga Troubadour. Ben 8,5%alc per una "donker" belga inizialmente non meglio specificata, ovvero scura. In realtà al naso si avverte subito una bella impronta dolciastra, pannosa e corpulenta. A spanne mi sintonizzo su una belgian stout, e questo poi si sarebbe rivelata.
Naso rotondo, sembra avena anche se non ne è stata impiegata ma l'impressione è quella, quasi da milk stout. Una vampata quasi di lattosio molto persistente.
In bocca rotonda, caffè che combatte col cacao in un pocket coffè oscillante, amaro inesistente o inavvertibile.
Un po' monotematica a lungo andare, con un vinoso che inizialmente si annuncia ma che rimane timido e non esce mai. Delude il fatto che non cresca con lo scaldarsi, ma grande birra di sicuro.
Non parlerò di altre due che non mi hanno affatto soddisfatto, un po' fotocopia tra loro, un po' perchè sono mani produttive che non mi soddisfano. Le nomino solamente, sono la Gonzo Imperial Porter di Flying Dog e la Granite 2011 di Hardknott. Americanate e basta, non si può ammazzare quella biodiversità di tostati con un'impronta verdastra appariscente, ammalianti al naso ma spregiuticate in bocca. Stancano anche se divise in due bicchieri.
Mentre c'è da passare in rassegna la ormai celeberrima De Lichervelds di De Dolle. Ben 9%alc. per una bionda senza stili di riferimento precisi, dato che quel "blonde" in etichetta cozza col grado alcolico (invece è solo un'indicazione cromatica di macro-categoria, come spesso indicano i belgi).
Inizialmente sembra poter stupire davvero. Al naso, sinceramente, ho sentito tantissima anidride carbonica, presente in due bottiglie allo stesso modo, con un perlage fine e velocissimo verso la schiuma della superficie. In bocca prende forma la complessità del corpo, che da metà corsa in poi vira con grazia verso un amaro, astringente e secco deliziosamente confezionato. E ti ritrovi a salivare felice e contento.
Scaldandosi, però, non dimostra altre doti. Ci si poteva aspettare qualche fruttato più prepotente ed una struttura che salisse in cattedra, ma non accade. Sicuramente birra la cui mano è unica ed inconfondibile. Ma non la classificherei tra le più appaganti di De Dolle, seppur sia ottima come blonde robusta.
Per finire un'altra ottima birra. Potrebbe sembrare una roba vecchia, scontata, sciatta, invece è tutt'altro.
Sto parlando della Aventinus Eisbock di Schneider Weisse. Le eisbock, come si sa, cono birre molto alcoliche ottenute dal congelamento del mosto fermentato per sottrarre acqua e così facendo concentrare l'alcol. Questa, però, è una eisbock che non parte da una normale base bock bensì da una base weizenbock (appunto, qualcosa di vicino alla Aventinus classica) per cui tutt'altra birra.
Ben 12%alc. il risultato finale. Al naso nettamente frutta matura, ciliega sotto spirito, liquoroso da cherry. Poca schiuma, ma non inesistente come ci si poteva aspettare dopo quel processo di congelamento che comporta, immagino, anche un'allontanamento dei composti proteici che poi influenzano anche la schiuma.
In bocca impronta dolcissima non affatto stucchevole, nè ad inizio nè a fine bevuta. Da mezzo sorso in poi sviluppa calore in quantità industriale, riempie bocca e naso al pari migliori barley wine inglesi.
Sontuosa, vellutata ma decisa, un gran bel bere senza dubbio.
Chissà quando torno al Nincasi.
Qualche novità o delizia inesplorata la riserva quasi sempre.
Cheers!
Tante birre messe in frigo da Leo, quindi, ma spesso basate su must del Belgio più tradizionale ed un filo più commerciale, oltre a qualche bella sorpresa.
Andando con ordine, la mia prima bevuta è stata una novità. Non l'avevo neppure mai letta da nessuna parte.
Ho preso la Good Juju degli americani di Left Hand. Si tratta di una pale ale con aggiunta di zenzero, per cui sarebbe una ginger ale. Anche se non nel senso più classico e britannico del termine. Il mio metro di paragone è la Ginger Old Tom di Robinson, che una volta versata ne ho bevuta metà solo perchè ormai ce l'avevo davanti, ma neanche quella metà sono riuscito ad apprezzare.
Fortunatamente è cosa ben diversa. Naso delicato, zenzero e fieno, fresco, ruspante, pepato.
In bocca leggera, con un corpo esile ed una struttura semplice. Amaricatura bassa, croccante e rinfrescante, lievemente amarognolo il finale a fine bicchiere. Una ginger ale finalmente delicata che scorre davvero senza problemi, ottima per iniziare con i suoi 4,5%alc.
A seguire una Obscura della beer firm belga Troubadour. Ben 8,5%alc per una "donker" belga inizialmente non meglio specificata, ovvero scura. In realtà al naso si avverte subito una bella impronta dolciastra, pannosa e corpulenta. A spanne mi sintonizzo su una belgian stout, e questo poi si sarebbe rivelata.
Naso rotondo, sembra avena anche se non ne è stata impiegata ma l'impressione è quella, quasi da milk stout. Una vampata quasi di lattosio molto persistente.
In bocca rotonda, caffè che combatte col cacao in un pocket coffè oscillante, amaro inesistente o inavvertibile.
Un po' monotematica a lungo andare, con un vinoso che inizialmente si annuncia ma che rimane timido e non esce mai. Delude il fatto che non cresca con lo scaldarsi, ma grande birra di sicuro.
Non parlerò di altre due che non mi hanno affatto soddisfatto, un po' fotocopia tra loro, un po' perchè sono mani produttive che non mi soddisfano. Le nomino solamente, sono la Gonzo Imperial Porter di Flying Dog e la Granite 2011 di Hardknott. Americanate e basta, non si può ammazzare quella biodiversità di tostati con un'impronta verdastra appariscente, ammalianti al naso ma spregiuticate in bocca. Stancano anche se divise in due bicchieri.
Mentre c'è da passare in rassegna la ormai celeberrima De Lichervelds di De Dolle. Ben 9%alc. per una bionda senza stili di riferimento precisi, dato che quel "blonde" in etichetta cozza col grado alcolico (invece è solo un'indicazione cromatica di macro-categoria, come spesso indicano i belgi).
Inizialmente sembra poter stupire davvero. Al naso, sinceramente, ho sentito tantissima anidride carbonica, presente in due bottiglie allo stesso modo, con un perlage fine e velocissimo verso la schiuma della superficie. In bocca prende forma la complessità del corpo, che da metà corsa in poi vira con grazia verso un amaro, astringente e secco deliziosamente confezionato. E ti ritrovi a salivare felice e contento.
Scaldandosi, però, non dimostra altre doti. Ci si poteva aspettare qualche fruttato più prepotente ed una struttura che salisse in cattedra, ma non accade. Sicuramente birra la cui mano è unica ed inconfondibile. Ma non la classificherei tra le più appaganti di De Dolle, seppur sia ottima come blonde robusta.
Per finire un'altra ottima birra. Potrebbe sembrare una roba vecchia, scontata, sciatta, invece è tutt'altro.
Sto parlando della Aventinus Eisbock di Schneider Weisse. Le eisbock, come si sa, cono birre molto alcoliche ottenute dal congelamento del mosto fermentato per sottrarre acqua e così facendo concentrare l'alcol. Questa, però, è una eisbock che non parte da una normale base bock bensì da una base weizenbock (appunto, qualcosa di vicino alla Aventinus classica) per cui tutt'altra birra.
Ben 12%alc. il risultato finale. Al naso nettamente frutta matura, ciliega sotto spirito, liquoroso da cherry. Poca schiuma, ma non inesistente come ci si poteva aspettare dopo quel processo di congelamento che comporta, immagino, anche un'allontanamento dei composti proteici che poi influenzano anche la schiuma.
In bocca impronta dolcissima non affatto stucchevole, nè ad inizio nè a fine bevuta. Da mezzo sorso in poi sviluppa calore in quantità industriale, riempie bocca e naso al pari migliori barley wine inglesi.
Sontuosa, vellutata ma decisa, un gran bel bere senza dubbio.
Chissà quando torno al Nincasi.
Qualche novità o delizia inesplorata la riserva quasi sempre.
Cheers!
La Troubadour Obscura, da me forse frettolosamente indicata come una strong dark ale, ha confermato la tua maggiore dimestichezza con aromi e sapori degli stili d'oltremanica :)
RispondiEliminaInfatti sul sito del birrificio la birra in questione viene così definita: "a mild stout with a belgian body".
Birra molto buona che potrebbe diventarlo ancora di più se, verso fine corsa, riuscisse a dotarsi di un taglio più secco e ripulente.
Chissà che in questo non riesca meglio la Troubadour Imperial Stout!
Ah, esiste anche la Imperial Stout di Troubadour, me ne sono appena accorto. Pensavo fosse uno spunto per un'eventuale nuova birra.
EliminaA questo punto occorre trovarla!