Raramente mi imbarco in avventure al buio verso prodotti di grossi birrifici di cui ignoro la qualità o di cui non sono sicuro, ma in questa occasione ne ho avuto l'opportunità servita su piatto d'argento.
Ho avuto modo di essere contattato per conto del birrificio Theresianer (non senza una certa dose di soddisfazione) e di ricevere in dono un tris di loro birre.
È uno dei birrifici più antichi d'Italia, ha all'attivo una produzione annua che si aggirava sui 19.000 hl/anno,(2012) e 28.000 hl/anno (2013), il che lo colloca ben oltre i numeri della birra artigianale italiana. Per chi ancora non lo sapesse, i più promettenti birrifici medi italiani viaggiano su 1.000 hl/anno, i pochi pezzi grossi vanno sui 3.000 hl/anno mentre un paio si avvicina appena ai 10.000 hl/anno, giusto per dare un'idea.
I numeri della vera birra industriale, invece, sono ben più alti e presentano uno o anche due zeri in più rispetto a quelli di Theresianer, per cui non è difficile accostare numericamente questo birrificio più ai numeri dell'artigianale italiana. Numeri che, per esempio, in USA risulterebbero senza dubbio propri del comparto artigianale per come lì si sono evolute gli affari, ma qui la storia è diversa. Per altri numeri di birrifici italiani, consiglio questa lettura.
In realtà, però, il birrificio storicamente sorge in un'epoca ed in un contesto decisamente diverso da questa recente ondata di birra di qualità. A quanto pare, la fabbrica Theresianer nasce nel 1766 nel Borgo Teresiano, quartiere di Trieste, fondata da mastri birrai austriaci grazie alla licenza concessa dalla sovrana Maria Teresa D'Austria. Fu la prima fabbrica di birra austriaca in territorio italiano, e questo già si evince dalla coesistenza della bandiera austriaca e di quella italiana nel logo.
Su questo tema, in realtà, ho scoperto delle curiosità: le bandiere italiane appaiono solo in loghi recentissimi e prima c'erano solo quelle austriache.
Il faro, o meglio, la Lanterna di Trieste che appare nel logo, è invece insostituibile ed è stata scelta come simbolo non a caso, dato che richiama direttamente la regnante Maria Teresa D'Austria, che nel 1744 iniziò la poderosa costruzione di un molo che doveva congiungere la terraferma allo scoglio dello Zucco; alla sua estremità venne costruito un faro, ma di poca portata, che funzionò dal 1769 al 1833, quando fu sostituito dall’odierna Lanterna. La storia, in realtà, è ben più ricca ed arriva fino ai giorni nostri, ma ci basta immaginare il significato simbolico di questa costruzione per i legami storici che ha il birrificio.
Oltre duecento anni dopo il birrificio si è spostato nel suo stabilimento di Nervesa della Battaglia, spostandosi quindi dalla città di Trieste alla provincia di Treviso.
Le birre prodotte sono ben 10, e questo dimostra l'anomalia di questo birrificio rispetto al resto del panorama commerciale italiano: lager, pils, wit, vienna, coffee stout, india pale ale, pale ale, bock, strong ale ed una birra natalizia. Tutte non filtrate, come specificate in etichetta, mentre sulla pastorizzazione non ci sono indicazioni.
Le tre birre a me arrivate, nel formato da 75 cl addobbate di cartellino con istruzioni per il servizio (su cui, però, si invita ad agitare il fondo e servire anche il lievito...ahia!), sono Premium Pils, Wit e India Pale Ale, omonime dei rispettivi stili di riferimento. Avrei tanto voluto assaggiare la Vienna, dato che l'omonimo stile ha le proprie radici nell'area austriaca, come il nome può suggerire, e qualche know-how immagino sia rimasto nell'aria, magari per l'opera di Anthon Dreher.
Comincio con la Premium Pils, di 5,0%alc. chiaramente ispirata alle pils con un prefisso che sovente birrifici commerciali utilizzano per dare un'indicazione di particolare qualità alla birra in questione.
La birra appare con una bella schiuma compatta e pannosa di consistenza simile ad albume. Accostando il naso al bicchiere, appare già ben fatta: si avverte subito un tono croccante, di cereali, con note di fieno ed un leggerissimo carattere sulfureo per nulla fastidioso. Ancora un tono di cereali anche al gusto, con un chiaro carattere maltato, una carbonazione vivace ma con bollicine piccole ed piacevolmente solleticanti.
Lungo la bevuta fa fatica ad emergere un fine finale amaro tendente al vegetale, che si fa intravedere appena nella fase centrale del sorso, cerca di ripulire il finale e poi fa perdere completamente le tracce. Insomma, è molto croccante in bocca, presenta una leggera astringenza ma soprattutto una bella secchezza. Le materie prime indicate su schede tecniche indicano orzo di provenienza bavarese e luppoli delle famiglie Saaz e Tettnang.
Non pare offrire un grande carattere, ma nonostante ciò sembra già una birra onesta e piacevole, anche in confronto allo stile a cui vorrebbe riferirsi. C'è da dire, però, che somiglia poco ad una pils autentica, non avendo affatto rotondità, caramello ed amaro di una versione ceca nè il carattere mieloso di una pura creatura tedesca; piuttosto ha un carattere maltato non molto distante da una tedesca helles, per dire. Ad ogni modo, la pulizia è il suo punto forte e per questo è davvero da apprezzare, nulla da dire!
Passiamo alla seconda birra, la Wit o blanche che dir si voglia, di 5,1%alc. Schiuma compattissima, bianca anche se non candida. Guardando il colore della birra la prima volta ci si chiede se si è di fronte ad una blanche o ci sia qualche errore di etichetta: appare quasi dorata, con riflessi di un ambrato chiaro, ben lontana dal colore paglierino, dall'opalescenza e dall'aspetto quasi lattiginoso di una vera blanche di ispirazione belga. Non è una questione di luce, di sfondi, di bicchiere, è davvero tendente all'ambrato chiaro, ed è un peccato perchè solitamente il colore è una delle poche cose che è difficile toppare se si ha un'idea chiara dello stile. Il luppolo utilizzato è della famiglia Spalt coltivato in Germania, così come lo sono orzo e frumento.
Al naso si avverte sicuramente il coriandolo, uno degli elementi caratterizzanti dello stile. Salgono piacevolmente anche sensazioni di frutta a polpa gialla, piuttosto matura, con una banana in evidenza ma anche pera.
In bocca ancora è il coriandolo a fare da guida, fortunatamente restando marginale rispetto al successivo impatto con la struttura maltata. Quella specie di acidità frumentosa delle blanche si intuisce appena, restando però decisamente in disparte rispetto allo schema gustativo. I veri protagonisti sono i toni maltati, anche troppo presenti con un indesiderato carattere caramellato che la rende rotonda e pienotta. Sicuramente ne guadagna la struttura e così un eventuale abbinamento gastronomico, ma lo scopo di imitare una blanche fallisce colpo su colpo.
È una buona birra, chiariamolo. A questo punto, però, si potrebbe giocare ad accostarla ad altri stili birrari: per la struttura e la facilità al tempo stesso potrebbe avere qualche punto in comune con una double blanche, piuttosto, ma sul grado alcolico questo castello in aria crollerebbe. Mentre con una weizenbock, soprattutto con le interpretazioni di colore più chiaro, condividerebbe la presenza netta di note di banana e di frumento molto coperto da malti più caramellati che donano rotondità.
Chiaramente stiamo parlando di una birra che è stata piegata in maniera evidente alla bevibilità, alla piacevolezza, magari all'abbinamento gastronomico per andare incontro alla semplicità delle grandi platee. Che poi c'è da chiedersi se realmente questo sia un difetto o un punto di forza, cercando di mettere da parte per un momento gli occhiali dell'appassionato e del bevitore consapevole.
La terza ed ultima birra è la India Pale Ale, birra dal tenore di 5,8%alc. di cui si indica in ricetta la presenza di malti provenienti dalla Franconia e di luppoli di Hallertau e della Stiria.
Come sempre, schiuma compattissima ed impeccabile, e questo sembra davvero un punto di forza delle loro produzioni. La birra appare di colore ambrato con sfumature arancio.
Provo a sentirne gli aromi e viene fuori qualche tono fruttato di pesca, che imputo al lievito più che ai luppoli che dovrebbero caratterizzare anche in aroma questo stile. Qui non è la pulizia a spiccare, piuttosto l'attenzione è puntata su toni fruttati.
In bocca, in realtà, il luppolo si avverte molto poco e siamo davvero molto lontani dal concetto di IPA moderne iper-luppolate che tanto stanno esaltando il settore. A primo impatto, sembra quasi una di quelle IPA tedesche, quelle che i birrifici più attenti alle mode stanno tentando di proporre ma con i loro luppoli tradizionali, che seppur donando gentili aromi non riescono a sopportare il confronto con i più potenti luppoli degli altri continenti.
Ad ogni modo, quel sottile amaro che si fa strada appare erbaceo, un filo agrumato e richiama ancora arancia rossa e l'inaspettata pesca matura. L'effetto macroscopico è quello di un buon bilanciamento tra questo leggerissimo amaro e la copiosa componente maltata.
La birra, in sostanza, sembra molto corretta, quasi accademica in termini di bevibilità.
Schematizzandola, sembra tedesca nella realizzazione e nelle materie prime mentre è inglese l'idea ed il concetto di base, con un amaro leggerissimo che cerca di seguire quella tradizione. Se vogliamo, è quella pesca matura che non era richiesta, ma ce la facciamo passare perchè non dispiace affatto nel complesso.
Anche questa, come le precedenti, non becca in pieno lo stile ma piuttosto attinge da altri schemi.
Ma è buona. Buona come birra tout court, sia chiaro.
Ho bevuto, quindi, tre buonissime birre.
La filosofia che ne viene fuori è decisamente popolare e predilige la piacevolezza, l'appagamento e la facilità rispetto agli stilemi, a volte estremi rispetto alla solita birra commerciale ma pur sempre caratterizzanti qualora presenti (come l'amaro di una IPA o il carattere acidulo di una blanche).
Che questa sia una scelta figlia di quegli elevati (ma neanche tanto) volumi di produzione sembra molto probabile.
Però è anche vero che va fatto un monumento alle intenzioni di Theresianer che potrebbe, in teoria, anche infischiarsene di tutto e produrre birre grame ed ignoranti, ed invece sceglie di seguire il filone dell'artigianale svolgendo il suo dovere su una buona parte dei fattori cruciali.
Ciò che occorre per completare l'opera sarebbe scegliere tra due opzioni: seguire più seriamente gli stili a cui essa stessa si riferisce, ritoccando le ricette, o abbandonare i riferimenti stilistici, le didascalie e le etichette seguendo ciò che tanti birrai italiani hanno fatto e continuano a fare, infischiandosene di stili e schemi semplicemente ponendosi al si sopra di questi, in nome di italianità, creatività e fantasia.
Personalmente sceglierei la prima, ma sempre a patto che lo si sappia, lo si possa o lo si voglia fare.
Sono birre che puntano al grande gap esistente tra birre commerciali e birre artigianali, tendendo verso queste ultime anche sul fronte del packaging e dei prezzi. Si punta in alto verso il segmento della ristorazione, e lo dimostra il formato da 75 cl e, da quanto leggo tra gli shop online, lo dimostrano anche i prezzi. Ma anche come gateway beer i requisiti ci sono tutti, sono reperibili anche in formato da 33 cl.
Non dimentichiamo, però, che nel confronto della situazione USA accennata in apertura, qui stiamo parlando di un birrificio che da commerciale vuole legittimarsi, quasi ridimensionarsi, ad artigianale, mentre oltreoceano (Sierra Nevada, Stone, Brooklyn giusto per fare i nomi più noti) la situazione si è sviluppata diversamente negli ultimi decenni, con birrifici artigianali che si sono ingrossati diventando praticamente commerciali.
La domanda che ci si può fare è se la qualità dell'artigianale sia una funzione di stato, cioè indipendente dal percorso, o se certe scelte di qualità abbiano bisogno di un approccio frutto del percorso e della storia di un birrificio.
Ringrazio Theresianer per il graditissimo omaggio, sperando di assaggiare anche le altre birre della gamma e di potermi rispecchiare ancora di più nella loro filosofia produttiva.
Cheers!
Ho avuto modo di essere contattato per conto del birrificio Theresianer (non senza una certa dose di soddisfazione) e di ricevere in dono un tris di loro birre.
È uno dei birrifici più antichi d'Italia, ha all'attivo una produzione annua che si aggirava sui 19.000 hl/anno,(2012) e 28.000 hl/anno (2013), il che lo colloca ben oltre i numeri della birra artigianale italiana. Per chi ancora non lo sapesse, i più promettenti birrifici medi italiani viaggiano su 1.000 hl/anno, i pochi pezzi grossi vanno sui 3.000 hl/anno mentre un paio si avvicina appena ai 10.000 hl/anno, giusto per dare un'idea.
I numeri della vera birra industriale, invece, sono ben più alti e presentano uno o anche due zeri in più rispetto a quelli di Theresianer, per cui non è difficile accostare numericamente questo birrificio più ai numeri dell'artigianale italiana. Numeri che, per esempio, in USA risulterebbero senza dubbio propri del comparto artigianale per come lì si sono evolute gli affari, ma qui la storia è diversa. Per altri numeri di birrifici italiani, consiglio questa lettura.
In realtà, però, il birrificio storicamente sorge in un'epoca ed in un contesto decisamente diverso da questa recente ondata di birra di qualità. A quanto pare, la fabbrica Theresianer nasce nel 1766 nel Borgo Teresiano, quartiere di Trieste, fondata da mastri birrai austriaci grazie alla licenza concessa dalla sovrana Maria Teresa D'Austria. Fu la prima fabbrica di birra austriaca in territorio italiano, e questo già si evince dalla coesistenza della bandiera austriaca e di quella italiana nel logo.
Su questo tema, in realtà, ho scoperto delle curiosità: le bandiere italiane appaiono solo in loghi recentissimi e prima c'erano solo quelle austriache.
Il faro, o meglio, la Lanterna di Trieste che appare nel logo, è invece insostituibile ed è stata scelta come simbolo non a caso, dato che richiama direttamente la regnante Maria Teresa D'Austria, che nel 1744 iniziò la poderosa costruzione di un molo che doveva congiungere la terraferma allo scoglio dello Zucco; alla sua estremità venne costruito un faro, ma di poca portata, che funzionò dal 1769 al 1833, quando fu sostituito dall’odierna Lanterna. La storia, in realtà, è ben più ricca ed arriva fino ai giorni nostri, ma ci basta immaginare il significato simbolico di questa costruzione per i legami storici che ha il birrificio.
Oltre duecento anni dopo il birrificio si è spostato nel suo stabilimento di Nervesa della Battaglia, spostandosi quindi dalla città di Trieste alla provincia di Treviso.
Le birre prodotte sono ben 10, e questo dimostra l'anomalia di questo birrificio rispetto al resto del panorama commerciale italiano: lager, pils, wit, vienna, coffee stout, india pale ale, pale ale, bock, strong ale ed una birra natalizia. Tutte non filtrate, come specificate in etichetta, mentre sulla pastorizzazione non ci sono indicazioni.
Le tre birre a me arrivate, nel formato da 75 cl addobbate di cartellino con istruzioni per il servizio (su cui, però, si invita ad agitare il fondo e servire anche il lievito...ahia!), sono Premium Pils, Wit e India Pale Ale, omonime dei rispettivi stili di riferimento. Avrei tanto voluto assaggiare la Vienna, dato che l'omonimo stile ha le proprie radici nell'area austriaca, come il nome può suggerire, e qualche know-how immagino sia rimasto nell'aria, magari per l'opera di Anthon Dreher.
Comincio con la Premium Pils, di 5,0%alc. chiaramente ispirata alle pils con un prefisso che sovente birrifici commerciali utilizzano per dare un'indicazione di particolare qualità alla birra in questione.
La birra appare con una bella schiuma compatta e pannosa di consistenza simile ad albume. Accostando il naso al bicchiere, appare già ben fatta: si avverte subito un tono croccante, di cereali, con note di fieno ed un leggerissimo carattere sulfureo per nulla fastidioso. Ancora un tono di cereali anche al gusto, con un chiaro carattere maltato, una carbonazione vivace ma con bollicine piccole ed piacevolmente solleticanti.
Lungo la bevuta fa fatica ad emergere un fine finale amaro tendente al vegetale, che si fa intravedere appena nella fase centrale del sorso, cerca di ripulire il finale e poi fa perdere completamente le tracce. Insomma, è molto croccante in bocca, presenta una leggera astringenza ma soprattutto una bella secchezza. Le materie prime indicate su schede tecniche indicano orzo di provenienza bavarese e luppoli delle famiglie Saaz e Tettnang.
Non pare offrire un grande carattere, ma nonostante ciò sembra già una birra onesta e piacevole, anche in confronto allo stile a cui vorrebbe riferirsi. C'è da dire, però, che somiglia poco ad una pils autentica, non avendo affatto rotondità, caramello ed amaro di una versione ceca nè il carattere mieloso di una pura creatura tedesca; piuttosto ha un carattere maltato non molto distante da una tedesca helles, per dire. Ad ogni modo, la pulizia è il suo punto forte e per questo è davvero da apprezzare, nulla da dire!
Passiamo alla seconda birra, la Wit o blanche che dir si voglia, di 5,1%alc. Schiuma compattissima, bianca anche se non candida. Guardando il colore della birra la prima volta ci si chiede se si è di fronte ad una blanche o ci sia qualche errore di etichetta: appare quasi dorata, con riflessi di un ambrato chiaro, ben lontana dal colore paglierino, dall'opalescenza e dall'aspetto quasi lattiginoso di una vera blanche di ispirazione belga. Non è una questione di luce, di sfondi, di bicchiere, è davvero tendente all'ambrato chiaro, ed è un peccato perchè solitamente il colore è una delle poche cose che è difficile toppare se si ha un'idea chiara dello stile. Il luppolo utilizzato è della famiglia Spalt coltivato in Germania, così come lo sono orzo e frumento.
Al naso si avverte sicuramente il coriandolo, uno degli elementi caratterizzanti dello stile. Salgono piacevolmente anche sensazioni di frutta a polpa gialla, piuttosto matura, con una banana in evidenza ma anche pera.
In bocca ancora è il coriandolo a fare da guida, fortunatamente restando marginale rispetto al successivo impatto con la struttura maltata. Quella specie di acidità frumentosa delle blanche si intuisce appena, restando però decisamente in disparte rispetto allo schema gustativo. I veri protagonisti sono i toni maltati, anche troppo presenti con un indesiderato carattere caramellato che la rende rotonda e pienotta. Sicuramente ne guadagna la struttura e così un eventuale abbinamento gastronomico, ma lo scopo di imitare una blanche fallisce colpo su colpo.
È una buona birra, chiariamolo. A questo punto, però, si potrebbe giocare ad accostarla ad altri stili birrari: per la struttura e la facilità al tempo stesso potrebbe avere qualche punto in comune con una double blanche, piuttosto, ma sul grado alcolico questo castello in aria crollerebbe. Mentre con una weizenbock, soprattutto con le interpretazioni di colore più chiaro, condividerebbe la presenza netta di note di banana e di frumento molto coperto da malti più caramellati che donano rotondità.
Chiaramente stiamo parlando di una birra che è stata piegata in maniera evidente alla bevibilità, alla piacevolezza, magari all'abbinamento gastronomico per andare incontro alla semplicità delle grandi platee. Che poi c'è da chiedersi se realmente questo sia un difetto o un punto di forza, cercando di mettere da parte per un momento gli occhiali dell'appassionato e del bevitore consapevole.
La terza ed ultima birra è la India Pale Ale, birra dal tenore di 5,8%alc. di cui si indica in ricetta la presenza di malti provenienti dalla Franconia e di luppoli di Hallertau e della Stiria.
Come sempre, schiuma compattissima ed impeccabile, e questo sembra davvero un punto di forza delle loro produzioni. La birra appare di colore ambrato con sfumature arancio.
Provo a sentirne gli aromi e viene fuori qualche tono fruttato di pesca, che imputo al lievito più che ai luppoli che dovrebbero caratterizzare anche in aroma questo stile. Qui non è la pulizia a spiccare, piuttosto l'attenzione è puntata su toni fruttati.
In bocca, in realtà, il luppolo si avverte molto poco e siamo davvero molto lontani dal concetto di IPA moderne iper-luppolate che tanto stanno esaltando il settore. A primo impatto, sembra quasi una di quelle IPA tedesche, quelle che i birrifici più attenti alle mode stanno tentando di proporre ma con i loro luppoli tradizionali, che seppur donando gentili aromi non riescono a sopportare il confronto con i più potenti luppoli degli altri continenti.
Ad ogni modo, quel sottile amaro che si fa strada appare erbaceo, un filo agrumato e richiama ancora arancia rossa e l'inaspettata pesca matura. L'effetto macroscopico è quello di un buon bilanciamento tra questo leggerissimo amaro e la copiosa componente maltata.
La birra, in sostanza, sembra molto corretta, quasi accademica in termini di bevibilità.
Schematizzandola, sembra tedesca nella realizzazione e nelle materie prime mentre è inglese l'idea ed il concetto di base, con un amaro leggerissimo che cerca di seguire quella tradizione. Se vogliamo, è quella pesca matura che non era richiesta, ma ce la facciamo passare perchè non dispiace affatto nel complesso.
Anche questa, come le precedenti, non becca in pieno lo stile ma piuttosto attinge da altri schemi.
Ma è buona. Buona come birra tout court, sia chiaro.
Ho bevuto, quindi, tre buonissime birre.
La filosofia che ne viene fuori è decisamente popolare e predilige la piacevolezza, l'appagamento e la facilità rispetto agli stilemi, a volte estremi rispetto alla solita birra commerciale ma pur sempre caratterizzanti qualora presenti (come l'amaro di una IPA o il carattere acidulo di una blanche).
Che questa sia una scelta figlia di quegli elevati (ma neanche tanto) volumi di produzione sembra molto probabile.
Però è anche vero che va fatto un monumento alle intenzioni di Theresianer che potrebbe, in teoria, anche infischiarsene di tutto e produrre birre grame ed ignoranti, ed invece sceglie di seguire il filone dell'artigianale svolgendo il suo dovere su una buona parte dei fattori cruciali.
Ciò che occorre per completare l'opera sarebbe scegliere tra due opzioni: seguire più seriamente gli stili a cui essa stessa si riferisce, ritoccando le ricette, o abbandonare i riferimenti stilistici, le didascalie e le etichette seguendo ciò che tanti birrai italiani hanno fatto e continuano a fare, infischiandosene di stili e schemi semplicemente ponendosi al si sopra di questi, in nome di italianità, creatività e fantasia.
Personalmente sceglierei la prima, ma sempre a patto che lo si sappia, lo si possa o lo si voglia fare.
Sono birre che puntano al grande gap esistente tra birre commerciali e birre artigianali, tendendo verso queste ultime anche sul fronte del packaging e dei prezzi. Si punta in alto verso il segmento della ristorazione, e lo dimostra il formato da 75 cl e, da quanto leggo tra gli shop online, lo dimostrano anche i prezzi. Ma anche come gateway beer i requisiti ci sono tutti, sono reperibili anche in formato da 33 cl.
La domanda che ci si può fare è se la qualità dell'artigianale sia una funzione di stato, cioè indipendente dal percorso, o se certe scelte di qualità abbiano bisogno di un approccio frutto del percorso e della storia di un birrificio.
Ringrazio Theresianer per il graditissimo omaggio, sperando di assaggiare anche le altre birre della gamma e di potermi rispecchiare ancora di più nella loro filosofia produttiva.
Cheers!
Ciao Angelo,
RispondiEliminavedo che continui mirabilmente a darti da fare in ogni dove nonostante altre scadenze più impellenti !
Ma tant'è.
Se la Theresianer ti contatta vuol dire che stai diventando un opinion leader a carattere nazionale !
Il che mi fa davvero molto piacere in quanto apprezzo molto l"umiltà" dei tuoi approcci al mondo brassicolo.
Spero di sentirti presto con altre notizie ingegneristiche e forse per proporti una inizativa particolare.
Guglielmo Rainaldi
Sempre troppo buono, Guglielmo. Ci aggiorniamo sul resto, non temere.
Eliminabella recensione!
RispondiEliminariguardo alle birre credo anch'io che dovrebbero attenersi in maniera più conforme agli stili (se proprio vogliono dichiararli) inoltre dovrebbe davvero porsi nel campo delle gateway beers abbassando i prezzi, il recente expoit dell' italian pale ale reperibile al discount apre prospettive interessanto per questo tipo di produzioni
Forse sono prospettive che non vogliono coltivare nonostante abbiano una linea da 33cl. Magari per sminuire il prodotto di "elite" quale vuol essere la 75cl.
EliminaL'artigianale vuole arrivare alla GDO, la commerciale nei beershop. Strabismo.
Bella recensione,ho avuto modo di assaggiare alcune loro produzioni in passato,senza tuttavia restarne folgorato,mi riservo comunque di riprovare qualcosa in futuro.
RispondiEliminaSu pastorizzazione o meno sarebbe interessante chiedere qualcosa direttamente ai produttori,sospetto comunque che la risposta sarebbe affermativa.
Claudio
Speriamo vorranno risponderci qui stesso.
EliminaNon ne sono rimasto folgorato in toto, ma in termini di pulizia sicuramente è stata una bella sorpresa.
La Theresianer Vienna ho avuto modo di assaggiarla a Rimini Pianeta birra nel 2005 ed anche al Salone Artigianale della fiera di Milano l'anno in cui fu premiata la Porter di Vito Lisco.
RispondiEliminaMa niente di entusiasmante.
Concordo però sulla pulizia al gusto.
Guglielmo Rainaldi