La curiosità di vederle in azione da vicino, a stretto contatto, c'è stata dal primo momento in cui se ne è saputa l'esistenza. Da quando, nella sorpresa generale, alla storica XX Bitter che ha fatto le fortune del birrificio De Ranke, è stata affiancata la nuova XXX Bitter.
È forse una delle birre che ogni appassionato non rifiuta mai, una di quelle che ti dà un motivo per non ordinare acqua frizzante quando guardi un frigo triste e banale in un qualsiasi pub di periferia.
Birra storica per i motivi che lo stesso birraio belga Nino Bacelle spiega in una bellissima intervista comparsa nel n.1 del periodico di MoBI:
Quando bevo la XX Bitter spesso vado in visibilio. Per così poco? Sì, perchè l'eleganza e la grazia che si riesce a trovare in birre semplici può essere più spiazzante e sorprendente della bontà sgargiante di birre che puntano più su potenza ed intensità. Tanto mi piace, che molto spesso non mi passa affatto in mente di soffermarmi nell'analisi olfattiva o gustativa. A conferma del fatto che quando una birra merita, non c'è degustazione che tenga: ci sono ricascato!
Quando poi posi il bicchiere dopo un'ampia sorsata, come in un'epifania, tutto si manifesta chiaro in mente. La fragranza appena floreale e fruttata di questa birra ricorda fiori di campo, frutta a polpa gialla, con una coda leggermente speziata di pepe. È un attimo e ti ritrovi già a riberla: un bel mix di malti compatti e gustosi compongono la trama dal corpo medio, con qualche sbuffo retronasale di crosta di pane e ancora di pepe. Il numero da circo è la secchezza finale, che insieme ad un amaro sui 65 IBU, dolcemente sposta il palcoscenico dal centro della lingua fino in fondo, portando in dote un amaro ancora floreale, piccantino e terroso.
Chi ha concepito e partorito simili birre, niente di meno che 18 anni fa, non può e non deve rimanere al palo, scavalcato da eserciti di birre e birrai dalle più disparate luppolature.
A quanto pare, però, la creazione della XXX Bitter non arriva dopo uno spunto dello stesso Bacelle di fronte al fenomeno dell'amaro in continua ascesa, incarnatosi ben presto nelle IPA della qualsivoglia provenienza e concezione. Bensì sono stati i suoi partner commerciali americani, gli importatori Shelton Brothers, che in occasione dell'edizione 2013 di "The Festival", manifestazione annuale che si tiene a Portland, hanno commissionato a De Ranke questa novità.
Ne risulta una birra con il 50% di luppolo in più, il cui amaro è maggiore ma di appena il 10%, quindi dovremmo essere ragionevolmente tra i 70-75 IBU, pressappoco con gli stessi 6,0%alc. della sorella minore.
A dire il vero per quel festival la birra compare con 5,0%alc, ma si vede che poi, entrata fissa in produzione, è sembrato opportuno per lo meno eguagliare il grado alcolico per elevarla a sequel di una birra già di successo.
Questi numeri sui luppoli ci suggeriscono un'intuizione importante, e cioè che per essere un po' più amara ma con tenore alcolico uguale, la densità ed il corpo di questa birra saranno un tantino superiori rispetto alla "XX".
In effetti ce ne si può rendere conto subito. Gli aromi luppolati sembrano di analoga natura, con frutta a polpa gialla e venature erbacee, supportate un po' più intensamente da strascichi di uve a bacca bianca ed un leggero tocco tropicale di ananas. La quasi perfetta schiuma, pannosa e bianca su toni dorati della birra, rende decisamente rapide le prime sorsate, durante le quali si ritrovano pienezza e rotondità di corpo. La secchezza della "XX" diventa un ricordo appannato, e ne soffre di certo la scorrevolezza e la facilità che di quella birra erano un marchio di fabbrica. Si ritrova ancora un grande contributo maltato, ancor più incisivo e morbido, ai limiti del troppo pieno. Birra che inaspettatamente, perde quasi di complessità, vittima di un appesantimento che non sembrava così necessario, in fin dei conti.
Facendo scattare i confronti, questa birra perde la partita della complessità, vedendosi costretta ad acquistare peso e stazza. La struttura maltata più massiccia vede il chiaro contrappeso dell'amaro, ancora floreale e speziato, che qui si fa più violento e deciso, senza però poter contare su secchezza e pulizia che possano esaltarlo e spingerlo verso più alte vette di virulenza.
Dispiace quasi dire che si fa fatica a finire gli ultimi sorsi, ma purtroppo va così.
Se la "XX" fosse una svelta compagna di avventure, la "XXX" si presenterebbe quasi come l'alternativa stabile di una consorte, meno vispa e scaltra, più insistente con le amare questioni di coppia, più assillante, più ingombrante.
Tornando infine sulle presentazioni, non possiamo certo basarci sui termini "bitter" e "golden ale" che le rispettive etichette suggeriscono per descrivere le differenze tra le due interpretazioni (numero di X "extra" a parte), anche perchè sappiamo benissimo cosa voglia dire per un produttore belga "belgian bitter". Più che altro, mi chiedo come mai non abbia usato un generico "hoppy blond" piuttosto che un "hoppy golden ale", ma qualcuno risponderebbe "son belgi..." e metterebbe tutti a tacere, giustamente.
Insomma, un confronto tra due birre supposte simili ma, in fondo, tutt'altro che sorelle.
Sappiamo solo chi è il padre, stavolta.
Cheers!
È forse una delle birre che ogni appassionato non rifiuta mai, una di quelle che ti dà un motivo per non ordinare acqua frizzante quando guardi un frigo triste e banale in un qualsiasi pub di periferia.
Birra storica per i motivi che lo stesso birraio belga Nino Bacelle spiega in una bellissima intervista comparsa nel n.1 del periodico di MoBI:
"La XX Bitter è nata da un esperimento del mio socio Guido Devos. Con il suo impianto casalingo face una birra ispirata alla birra Verdraagzaam del birrificio Steedje, adesso chiuso, e in quella birra cercò di andare al limite dell'amaro, cercando un bilanciamento tra amaro sopportabile e troppo amaro ("verdraagzaam" in fiammingo). Siccome usò un luppolo vecchio stile come Brewer's Gold, la birra era così buona che decisi immediatamente di produrla e di immetterla sul mercato. Guido non credeva che potessimo venderne molta, ma io fui immediatamente convinto che sarebbe piaciuta a tanti. Quando la lanciammo sul mercato alla fine del 1996, molti colleghi ci dissero "è la classica birra che piace ad un birraio, mi piace, ma non penso possiate riuscire a venderla al pubblico". La storia è andata diversamente e adesso molti birrai belgi provano a fare birre amare. È stata la birra che ha reso il birrificio De Ranke conosciuto nel mondo degli appassionati di birra."
Quando bevo la XX Bitter spesso vado in visibilio. Per così poco? Sì, perchè l'eleganza e la grazia che si riesce a trovare in birre semplici può essere più spiazzante e sorprendente della bontà sgargiante di birre che puntano più su potenza ed intensità. Tanto mi piace, che molto spesso non mi passa affatto in mente di soffermarmi nell'analisi olfattiva o gustativa. A conferma del fatto che quando una birra merita, non c'è degustazione che tenga: ci sono ricascato!
Quando poi posi il bicchiere dopo un'ampia sorsata, come in un'epifania, tutto si manifesta chiaro in mente. La fragranza appena floreale e fruttata di questa birra ricorda fiori di campo, frutta a polpa gialla, con una coda leggermente speziata di pepe. È un attimo e ti ritrovi già a riberla: un bel mix di malti compatti e gustosi compongono la trama dal corpo medio, con qualche sbuffo retronasale di crosta di pane e ancora di pepe. Il numero da circo è la secchezza finale, che insieme ad un amaro sui 65 IBU, dolcemente sposta il palcoscenico dal centro della lingua fino in fondo, portando in dote un amaro ancora floreale, piccantino e terroso.
Chi ha concepito e partorito simili birre, niente di meno che 18 anni fa, non può e non deve rimanere al palo, scavalcato da eserciti di birre e birrai dalle più disparate luppolature.
A quanto pare, però, la creazione della XXX Bitter non arriva dopo uno spunto dello stesso Bacelle di fronte al fenomeno dell'amaro in continua ascesa, incarnatosi ben presto nelle IPA della qualsivoglia provenienza e concezione. Bensì sono stati i suoi partner commerciali americani, gli importatori Shelton Brothers, che in occasione dell'edizione 2013 di "The Festival", manifestazione annuale che si tiene a Portland, hanno commissionato a De Ranke questa novità.
Ne risulta una birra con il 50% di luppolo in più, il cui amaro è maggiore ma di appena il 10%, quindi dovremmo essere ragionevolmente tra i 70-75 IBU, pressappoco con gli stessi 6,0%alc. della sorella minore.
A dire il vero per quel festival la birra compare con 5,0%alc, ma si vede che poi, entrata fissa in produzione, è sembrato opportuno per lo meno eguagliare il grado alcolico per elevarla a sequel di una birra già di successo.
Questi numeri sui luppoli ci suggeriscono un'intuizione importante, e cioè che per essere un po' più amara ma con tenore alcolico uguale, la densità ed il corpo di questa birra saranno un tantino superiori rispetto alla "XX".
In effetti ce ne si può rendere conto subito. Gli aromi luppolati sembrano di analoga natura, con frutta a polpa gialla e venature erbacee, supportate un po' più intensamente da strascichi di uve a bacca bianca ed un leggero tocco tropicale di ananas. La quasi perfetta schiuma, pannosa e bianca su toni dorati della birra, rende decisamente rapide le prime sorsate, durante le quali si ritrovano pienezza e rotondità di corpo. La secchezza della "XX" diventa un ricordo appannato, e ne soffre di certo la scorrevolezza e la facilità che di quella birra erano un marchio di fabbrica. Si ritrova ancora un grande contributo maltato, ancor più incisivo e morbido, ai limiti del troppo pieno. Birra che inaspettatamente, perde quasi di complessità, vittima di un appesantimento che non sembrava così necessario, in fin dei conti.
Facendo scattare i confronti, questa birra perde la partita della complessità, vedendosi costretta ad acquistare peso e stazza. La struttura maltata più massiccia vede il chiaro contrappeso dell'amaro, ancora floreale e speziato, che qui si fa più violento e deciso, senza però poter contare su secchezza e pulizia che possano esaltarlo e spingerlo verso più alte vette di virulenza.
Dispiace quasi dire che si fa fatica a finire gli ultimi sorsi, ma purtroppo va così.
Se la "XX" fosse una svelta compagna di avventure, la "XXX" si presenterebbe quasi come l'alternativa stabile di una consorte, meno vispa e scaltra, più insistente con le amare questioni di coppia, più assillante, più ingombrante.
Tornando infine sulle presentazioni, non possiamo certo basarci sui termini "bitter" e "golden ale" che le rispettive etichette suggeriscono per descrivere le differenze tra le due interpretazioni (numero di X "extra" a parte), anche perchè sappiamo benissimo cosa voglia dire per un produttore belga "belgian bitter". Più che altro, mi chiedo come mai non abbia usato un generico "hoppy blond" piuttosto che un "hoppy golden ale", ma qualcuno risponderebbe "son belgi..." e metterebbe tutti a tacere, giustamente.
Insomma, un confronto tra due birre supposte simili ma, in fondo, tutt'altro che sorelle.
Sappiamo solo chi è il padre, stavolta.
Cheers!
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